Tecnica: Carene
ad aria
Con la
tecnologia delle microbolle d’aria iniettate forzatamente sottocarena, che è
cosa diversa dalle cavità ricavate nel volume della carena (ACS), è possibile
lubrificare il fondo piatto ed esteso di barche lente come le navi da carico.
La Mitsubishi, uno dei colossi mondiali dello shipping, ha messo a punto un
sistema per la lubrificazione della carena recentemente installato anche su due
navi da crociera AIDA Cruises ( 2016 e 2017). Si chiama MALS, acronimo che sta
per “Mitsubishi Air Lubrication System”. Si noti il sistema di pompaggio
dell’aria che viene iniettata quasi a metà nave, dove la parte piatta del fondo
diventa sufficientemente larga. La stessa aria scorre poi sul fondo fino a
sfuggire via lateralmente in prossimità del propulsore, senza così interferire
con il suo funzionamento. Per evitare che l’aria iniettata sul fondo sfugga
lateralmente nel suo fluire verso poppa, e rendere più efficiente la
lubrificazione ad aria sulle grandi navi, è possibile applicare una sorta di
binari che contengano l’aria all’interno di canali longitudinali. Oppure
combinare la semplice lubrificazione con il sistema delle Air Cavity.
Ridurre i consumi, migliorare le
prestazioni: le soluzioni per perseguire questi obiettivi su una barca sono
molteplici. Tra queste, la soluzione di interporre dell’aria fra la superficie
di carena e l’acqua, al fine di ridurre la resistenza d’attrito, è uno degli
espedienti più intuitivo e conosciuto ma, al tempo stesso, di non facile
realizzazione pratica. Prima però di esaminare alcune delle soluzioni ideate
per questo scopo, iniziamo con il capire perché, interponendo l’aria fra
l’acqua e una superficie, l’attrito viene ridotto. L’aria, oltre ad essere un
fluido circa 1.000 volte meno denso dell’acqua, è anche un fluido molto meno
viscoso dell’acqua, caratteristica fisica che permette un più facile
scorrimento di un oggetto attraverso il fluido stesso. Tale facilità di
scorrimento è tecnicamente indicata come minor attrito o, più precisamente,
minor attrito viscoso, cioè quel particolare tipo di attrito che caratterizza
il moto dei fluidi (vedi box di approfondimento). Per meglio comprendere il
fenomeno basta immaginare uno stesso oggetto immerso non nell’acqua ma nel
miele, un fluido dolce e gradevole ma molto più denso e viscoso dell’acqua: è
facile intuire che sarà molto difficoltoso farlo scorrere poiché l’attrito
dovuto alla elevata viscosità sarà enorme. Se allora, tornando alla nostra
carena, cioè la parte dello scafo a diretto contatto con l’acqua, in qualche
modo si inserisce dell’aria tra superficie e acqua, lo scorrimento di
quest’ultima sulla superficie di carena sarà facilitato e si otterrà quello che
in gergo è definita una “lubrificazione” ad aria. D’altronde la lubrificazione
altro non è che l’interposizione di una sostanza “lubrificante” che riduce
l’attrito tra due superfici che scorrono reciprocamente. Precisiamo però una
cosa: comunemente, quando si parla di attrito, le superfici che scorrono
reciprocamente sono quelle di due corpi solidi. Nel caso di fluidi il fenomeno
è un po’ più complesso ma possiamo semplificarlo ed immaginare che il fluido
più viscoso e più denso si comporti come un solido, mentre il fluido meno
viscoso e meno denso diventa il lubrificante. Lubrificare la carena con l’aria
è però una cosa semplice a dirsi ma estremamente complicata a farsi,
soprattutto per gli aspetti
critici legati alla realizzazione di un
sistema efficiente che consenta la presenza stabile di aria sulla superficie di
carena. Ecco allora le tante soluzioni per far scorrere o per intrappolare
l’aria sotto lo scafo, ad esempio generando delle bolle di aria poi
intrappolate in apposite cavità create nella carena, oppure intercettando
l’aria sopra la superficie ed incanalandola sotto carena, oppure iniettando
microbolle sotto carena attraverso circuiti ad aria compressa. Si tratta di una
miriade di soluzioni studiate e sviluppate nel tempo da quando, alla fine del
1800, il padre dell’idrodinamica William Froude, insieme allo scienziato
svedese Gustaf De Laval, studiarono per primi gli effetti positivi della
presenza di aria sul fondo di una carena ai fini della diminuzione dell’attrito
e ne ipotizzarono l’utilizzo. Se dal punto di vista teorico tutto è estre-
mamente semplice, la realtà è ben diversa e le complicazioni di ordine pratico
e funzionale sono tali da aver determinato nel tempo solo applicazioni
sperimentali o parziali, come possono essere i gradini sul fondo di una carena
planante (step o redan) oppure gli scarichi del motore convogliati sul fondo
dello scafo. Ma il progresso va avanti e le conoscenze aumentano. Vediamo
allora quali sono le modalità di applicazione di questa tecnologia, modalità oggi
riconducibili fondamentalmente a due: - aria intrappolata (ovviamente in modo
parziale) in apposite ca- vità sotto carena; - aria che viene fatta scorrere
sulla superficie della carena.
La lubrificazione per mezzo di aria
intrappolata in cavità: le Air Cavity Ship (ACS) È stata probabilmente la
modalità più studiata e sperimentata negli anni: in questa soluzione la carena
ha il fondo opportunamente sagomato al fine di generare una cavità in cui una
bolla di aria, generata ed alimentata artificialmente con l’immissione forzata
dall’esterno, rimane intrappolata . La pressione dell’aria all’interno della
cavità è leggermente più elevata della pressione atmosferica così da riempire
il volume ricavato sul fondo, senza però generare forze di portanza e permettendo
così alle linee di poppa di restare sempre in contatto con l’acqua, a
differenza di altri sistemi simili che invece generano un cuscino d’aria che
innalza e sostiene la barca, sistemi come i SES (Surface Effect Ship) o gli
hovercraft. Le linee esterne di un ACS, specie quelle di prua, restano invece
le stesse di una imbarcazione convenzionale, permettendo di mantenere pressoché
immutate le caratteristiche di tenuta al mare e di manovrabilità. Le linee del
fondo, al contrario, sono diverse, complesse e tormentate, al fine di creare le
condizioni affinché si generi e si mantenga la bolla d’aria nella cavità
artificiale. Le linee di poppa devono poi
consentire la sfuggita dell’aria in eccesso, senza creare resistenze
addizionali dovute alla presenza di barriere di contenimento dell’aria.
Inoltre, devono dirigere questa aria in eccesso senza che essa investa l’elica,
che ne soffrirebbe perdendo parte della spinta. La geometria del fondo è quindi
fondamentale al fine di alloggiare la bolla d’aria e ridurre le componenti di
resistenza addizionali. Dopo una lunghissima fase di studio e sperimentazione,
le prime imbarcazioni ACS sono state costruite negli anni ’90. Questi mezzi
hanno confermato diminuzioni di resistenza intorno al 10, 15% per le navi
dislocanti e fino al 40 % per le carene veloci, semiplananti e plananti. Tale
guadagno a fronte di un assorbimento di potenza totale della nave, necessario a
mantenere aria nella cavità, inferiore al 3, 4%. Inoltre, l’aria presente nella
cavità sotto la carena si comporta come un cuscino che smorza i moti verticali,
determinando miglioramenti nelle qualità di tenuta al mare e manovrabilità
sulle onde. Oggi le carene ACS sono una realtà specie nel piccolo naviglio
minore veloce, piccoli traghetti, piccole unità militari dove sono evidenti i benefici in termini di
diminuzione dei consumi in rapporto al carico imbarcato e le miglia percorse,
benefici che aumentano al crescere della velocità . Allo stesso tempo ci sono
promettenti sperimentazioni anche su unità molto più grandi, come le grosse e
lente navi da carico . Anche nel campo delle carene plananti per uso
diportistico ci sono interessanti tentativi di applicazione di questa
tecnologia: la società norvegese ESI (Effect Ship International), leader
mondiale di questa tecnologia messa a pun-
to con la denominazione di Air Supported
Vessel (ASV) e titolare di numerosi brevetti in merito, ha progettato un
motoryacht di 20 metri a sostentamento ad aria che poi è stato sottoposto ad un
intenso programma di test sperimentali, sia con modelli in vasca navale che al
vero con un prototipo in scala reale . I risultati hanno confermato riduzioni
di resistenza in alcuni casi fino al 50%, valore che dimostra chiaramente che
la lubrificazione ad aria può funzionare. Inoltre questi dati, uniti ad un
risultato estetico e funzionale dello yacht di tutto rispetto, hanno valso al
progetto Air Supported Vessel l’award per l’innovazione per l’anno 2011. Nel
2016, i cantieri Danesi Tuco Marine Group in collaborazione con i norvegesi di
ESI, hanno applicato la tecnologia ASV a piccole unità veloci da lavoro,
costruendo una prima barca di 17.7 metri con la quale hanno riscontrato, con
due IPS 600, velocità di punta di quasi 40 nodi . Ma, soprattutto, sono stati
riscontrati consumi estremamente ridotti (3 litri/miglio a 25 nodi e 3.3 a 30
nodi) e notevoli doti di tenuta al mare e morbidezza nell’impatto con l’onda
grazie al “cuscino” d’aria intrappolato nella cavità.tutto questo potrà avere
interessanti e valide applicazioni per barche fino a 45-50 metri utilizzate
come mezzi salvataggio e motovedette, fast workboat, etc.
La lubrificazione per scorrimento d’aria
In questa seconda modalità di lubrificazione la carena non pre- senta delle
cavità in cui l’aria viene intrappolata, ma scorre sulla superficie. Si tratta
di un sistema complessivamente meno efficace del precedente perché l’aria non
scorrerà in modo uniforme sulla superficie a causa dello spessore ridotto del
volume di aria di contatto e della mancanza di elementi laterali di
contenimento dell’aria che tende normalmente a sfuggire lateralmente. Si
creeranno così zone in cui l’acqua si sostituisce all’aria e, di conseguenza,
la lubrificazione diminuisce. Ma non è detto che tale sistema sia sempre meno
efficiente del precedente se consideriamo ciò che si spende nel complesso, sia
per iniettare sottocarena grossi volumi d’aria, sia per la complessità di una
carena ACS ed i maggiori costi di costruzione. Per far scorrere sotto la carena
un sottile velo di aria esistono infatti anche sistemi che non richiedono
energia esterna: si parla in questo caso di convogliamento dell’aria, che può
essere anche quella dei gas di scarico sommersi, oppure di ventilazione, come
nel caso dei redan. Ma andiamo con ordine e partiamo dalla metodologia delle
microbolle, un sistema con cui l’aria è iniettata forzatamente sottocarena
attraverso dei piccoli fori distribuiti lungo una sezione trasversale nella
zona di prora. La velocità contenuta, parliamo di navi da carico che viaggiano
a 10, 15 nodi, permette alle bolle di aria di scorrere verso poppa sul fondo
piatto e largo della nave che, a sua volta, consente all’aria di distribuirsi
abbastanza omogeneamente senza sfuggire via lateralmente . Con questo sitema
non si ottengono risparmi considerevoli, siamo sotto al 10%, ma, soprattutto,
ci sono una serie di problemi legati all’acqua di mare in cui la carena è
immersa, ad esempio per mantenere perfettamente puliti, e quindi efficienti, i
piccoli ugelli da cui fuoriesce l’aria o per mantenere sufficientemente pulita
la superficie di scorrimento. Un po’ più efficiente, si arriva a risparmi del
15%, e meno problematico è il sistema dei canali d’aria longitudinali sul fondo
della carena in cui, sempre da prora, l’aria viene immessa senza necessità di
generare bolle troppo piccole. Questi canali sono realizzati, molto
semplicemente, installando sul fondo una sorta di binari longitudinali che
evitano all’aria contenuta nei canali di fuoriuscire lateralmente nel suo
fluire verso poppa . Si tratta di una tecnologia interessante anche perché è
facilmente applicabile su navi esistenti, costruendo i binari longitudinali
esternamente alla carena. Ma nel diporto nautico la possibile applicazione di
queste metodiche è limitata ad alcune tipologie di carene dislocanti che, oltre
alla bassa velocità, devono avere una carena semplice e con una consistente
zona di fondo piatto. La lubrificazione ad aria può però essere realizzata,
come dicevamo prima, senza utilizzare energia esterna, senza compressori che
sparano aria sott’acqua. Parliamo di sistemi già largamente diffusi ed
utilizzati come i redan oppure gli scarichi del motore convogliati sul fondo
dello scafo. Iniziamo dai redan. Detti anche step (scalino in inglese) si
tratta di veri e propri gradini sul fondo di una carena planante, cioè una
carena veloce che emerge sull’acqua scivolandoci sopra. Proprio la velocità
permette all’acqua di distaccarsi in corrispondenza del gradino, laddove la
superficie planante sale bruscamente verso l’alto. Si viene così a creare una
bolla d’aria a ridosso del gradino stesso che si estende verso poppa di qualche
centimetro o di qualche metro, a seconda della velocità, delle dimensioni della
barca, della forma del gradino, etc. È evidente che la velocità sostenuta è
l’ingredien- te fondamentale per il funzionamento dei redan. Non a caso i redan
sono sempre presenti sui motoscafi da competizione o sugli scafi degli
idrovolanti, anche se, in questi casi, c’è da precisare che la riduzione della
superficie bagnata, e quindi della resistenza d’attrito, è solo uno degli
effetti di questo dispositivo che permette, soprattutto, un miglior controllo
dell’assetto e, più in generale, una migliore stabilità dinamica . Sfruttare la
velocità della barca
per convogliare dall’esterno più aria
possibile sotto la carena in corrispondenza dei redan è un’idea che ha trovato,
e trova ogni giorno, diverse soluzioni che vanno a modificare la geometria dei
redan, della carena, addirittura delle murate al fine di creare un canale che
convogli l’aria sottocarena. Si tratta di soluzioni, a volte di dubbia
efficacia, che comunque forniscono tutte un beneficio molto parziale, almeno in
termini di riduzione della resistenza di attrito, quantificabile in qualche
punto percentuale. Infatti mantenendoci alle normali velocità di utilizzo di
una barca, velocità di 20, 30 nodi massimo, la bolla di aria generata dai redan
necessariamente avrà un’estensione limitata. In tutti i casi sono molto più
interessanti, come dicevamo prima, i benefici che si ottengono in termini di
migliore stabilità dinamica. Una soluzione diversa, che tenta di superare
questi limiti, viene dal gruppo Bénéteau che, da alcuni anni, propone su alcune
delle sue barche plananti a motore dai 7 ai 12 metri un sistema che, per mezzo
di due prese d’aria poste a murata, convoglia aria sul fondo. Con tale sistema,
brevettato e denominato “Air Step”, l’aria va a lubrificare in modo naturale il
terzo poppiero del fondo della carena opportunamente conformato per contenere
l’aria stessa . Oltre alla riduzione dell’attrito ed il conseguente miglioramento
delle performance, Bénéteau dichiara anche un miglioramento delle doti di
tenuta al mare della barca (moti più dolci) dovuto al cuscino di aria creato a
poppa. Come si ve- de si tratta di una soluzione intermedia tra la
lubrificazione per scorrimento e la tecnologia delle Air Cavity Ship di cui
abbiamo parlato precedentemente. Sempre rimanendo su sistemi di lubrificazione
ad aria che non richiedono ulteriore energia esterna per il loro funzionamento,
accenniamo infine agli scarichi del motore convogliati sul fondo, un espediente
che spesso dà benefici davvero molto limitati, almeno in termini di riduzione
dell’attrito e miglioramento delle performance. Ciò è dovuto soprattutto alla
limitatezza dell’area di fondo che può essere interessata dallo scorrimento
dell’aria. Spesso infatti i gas di scarico vengono convogliati sul fondo più
per ridurre il livello di rumorosità che per reali motivi di miglioramento
delle performance, che possono addirittura peggiorare con facilità se i gas di
scarico non sono ben distribuiti o vanno ad interessare le eliche innescando
problemi di cavitazione. Ecco il motivo per il quale gli scarichi sommersi sono
generalmente posizionati molto lateralmente . Anche in quest’ultimo caso è
fondamentale avere una velocità sostenuta che permette una diminuzione locale
della pressione dell’acqua di entità tale da consentire la fuoriuscita del gas
di scarico. Non è quindi un caso se queste barche hanno un doppio sistema di
scarico dei gas di combustione, uno immerso, utilizzato a barca ferma o a moto
lento, ed uno sommerso quando la barca è in velocità. Per concludere accenniamo
ai materiali idrofobici o super idrofobici, l’ultima frontiera della
lubrificazione di una superficie di carena. Si tratta di materiali in grado di
riprodurre l’effetto delle foglie di loto che, rivestite da cristalli di cera
idrofobica di dimensioni nanometriche, rimangono asciutte dopo una giornata di
pioggia. Siamo quindi nel campo delle nanotecnologie, quelle tecniche che
permettono la manipolazione della materia a livello atomico e molecolare. È
grazie a queste tecniche che, ad esempio, possiamo beneficiare delle padelle
antiaderenti oppure
L’attrito viscoso Quando un corpo si muove
all’interno di un fluido, esso è soggetto ad un particolare tipo di attrito,
detto attrito viscoso, dovuto all’interazione del corpo stesso con le molecole
di fluido. Nel caso dell’attrito viscoso sono infatti le forze di coesione
interne al fluido (forze viscose) a determinare l’attrito che si sviluppa in
una piccola fascia di acqua adesa alla superficie di carena detta “strato
limite”. È in questo sottile strato d’acqua, uno strato che per una nave è
dell’ordine di grandezza di qualche centimetro, che si generano gli sforzi
viscosi tra le molecole di fluido, cioè, detto in altre parole, l’attrito. È
possibile immaginare lo strato limite composto da tanti sottilissimi strati di
acqua che, come dei veli, scorrono uno sull’altro, a partire dallo strato più
prossimo alla superficie della carena, adeso alla stessa e che quindi si muove
alla sua stessa velocità. Poi, pian piano che ci si allontana dalla superficie,
questi strati scorrono con una velocità man mano decrescente fino ad arrivare
all’acqua indisturbata a qualche centimetro dalla superficie. L’entità
dell’attrito viscoso per una carena è funzione quindi della superficie a
contatto con il fluido e della velocità con cui essa si muove, ma anche delle
caratteristiche proprie di viscosità del fluido che, a loro volta, sono molto
dipendenti dalla temperatura. Senza addentrarci in calcoli di difficile
comprensione, basti pensare che per trascinare con moto uniforme una lastra
piana della superficie complessiva di 10 metr i quadrati alla velocità di 10
nodi in aria, supponendo che la lastra “galleggi” nel fluido aria, basta esercitare
una trazione inferiore al chilogrammo, mentre se la lastra è immersa in acqua
sarà necessaria una trazione di quasi 400 chilogrammi, circa 400 volte di più.
Tale valore poi crescerà di circa il 10% se, dalla temperatura di riferimento
di 20°, ci si abbassa di una decina di gradi passando a 10°. Se invece
aumentiamo la velocità, passando da 10 a 20 nodi, la forza necessaria per
trainare la nostra lastra in aria passerà a quasi 3 kg in aria e oltre 1400 kg
in acqua. È evidente allora che, riuscendo a tenere anche una piccola parte
della superficie di carena a contatto con l’aria, si otterrà una sensibile
diminuzione di resistenza perché l’attrito si svilupperà prevalentemente nel
fluido meno denso e viscoso, cioè l’aria.
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