mercoledì 19 dicembre 2018

ARIA IN CARENA


Tecnica: Carene ad aria
                                  

Con la tecnologia delle microbolle d’aria iniettate forzatamente sottocarena, che è cosa diversa dalle cavità ricavate nel volume della carena (ACS), è possibile lubrificare il fondo piatto ed esteso di barche lente come le navi da carico. La Mitsubishi, uno dei colossi mondiali dello shipping, ha messo a punto un sistema per la lubrificazione della carena recentemente installato anche su due navi da crociera AIDA Cruises ( 2016 e 2017). Si chiama MALS, acronimo che sta per “Mitsubishi Air Lubrication System”. Si noti il sistema di pompaggio dell’aria che viene iniettata quasi a metà nave, dove la parte piatta del fondo diventa sufficientemente larga. La stessa aria scorre poi sul fondo fino a sfuggire via lateralmente in prossimità del propulsore, senza così interferire con il suo funzionamento. Per evitare che l’aria iniettata sul fondo sfugga lateralmente nel suo fluire verso poppa, e rendere più efficiente la lubrificazione ad aria sulle grandi navi, è possibile applicare una sorta di binari che contengano l’aria all’interno di canali longitudinali. Oppure combinare la semplice lubrificazione con il sistema delle Air Cavity.

Ridurre i consumi, migliorare le prestazioni: le soluzioni per perseguire questi obiettivi su una barca sono molteplici. Tra queste, la soluzione di interporre dell’aria fra la superficie di carena e l’acqua, al fine di ridurre la resistenza d’attrito, è uno degli espedienti più intuitivo e conosciuto ma, al tempo stesso, di non facile realizzazione pratica. Prima però di esaminare alcune delle soluzioni ideate per questo scopo, iniziamo con il capire perché, interponendo l’aria fra l’acqua e una superficie, l’attrito viene ridotto. L’aria, oltre ad essere un fluido circa 1.000 volte meno denso dell’acqua, è anche un fluido molto meno viscoso dell’acqua, caratteristica fisica che permette un più facile scorrimento di un oggetto attraverso il fluido stesso. Tale facilità di scorrimento è tecnicamente indicata come minor attrito o, più precisamente, minor attrito viscoso, cioè quel particolare tipo di attrito che caratterizza il moto dei fluidi (vedi box di approfondimento). Per meglio comprendere il fenomeno basta immaginare uno stesso oggetto immerso non nell’acqua ma nel miele, un fluido dolce e gradevole ma molto più denso e viscoso dell’acqua: è facile intuire che sarà molto difficoltoso farlo scorrere poiché l’attrito dovuto alla elevata viscosità sarà enorme. Se allora, tornando alla nostra carena, cioè la parte dello scafo a diretto contatto con l’acqua, in qualche modo si inserisce dell’aria tra superficie e acqua, lo scorrimento di quest’ultima sulla superficie di carena sarà facilitato e si otterrà quello che in gergo è definita una “lubrificazione” ad aria. D’altronde la lubrificazione altro non è che l’interposizione di una sostanza “lubrificante” che riduce l’attrito tra due superfici che scorrono reciprocamente. Precisiamo però una cosa: comunemente, quando si parla di attrito, le superfici che scorrono reciprocamente sono quelle di due corpi solidi. Nel caso di fluidi il fenomeno è un po’ più complesso ma possiamo semplificarlo ed immaginare che il fluido più viscoso e più denso si comporti come un solido, mentre il fluido meno viscoso e meno denso diventa il lubrificante. Lubrificare la carena con l’aria è però una cosa semplice a dirsi ma estremamente complicata a farsi, soprattutto per gli aspetti
critici legati alla realizzazione di un sistema efficiente che consenta la presenza stabile di aria sulla superficie di carena. Ecco allora le tante soluzioni per far scorrere o per intrappolare l’aria sotto lo scafo, ad esempio generando delle bolle di aria poi intrappolate in apposite cavità create nella carena, oppure intercettando l’aria sopra la superficie ed incanalandola sotto carena, oppure iniettando microbolle sotto carena attraverso circuiti ad aria compressa. Si tratta di una miriade di soluzioni studiate e sviluppate nel tempo da quando, alla fine del 1800, il padre dell’idrodinamica William Froude, insieme allo scienziato svedese Gustaf De Laval, studiarono per primi gli effetti positivi della presenza di aria sul fondo di una carena ai fini della diminuzione dell’attrito e ne ipotizzarono l’utilizzo. Se dal punto di vista teorico tutto è estre- mamente semplice, la realtà è ben diversa e le complicazioni di ordine pratico e funzionale sono tali da aver determinato nel tempo solo applicazioni sperimentali o parziali, come possono essere i gradini sul fondo di una carena planante (step o redan) oppure gli scarichi del motore convogliati sul fondo dello scafo. Ma il progresso va avanti e le conoscenze aumentano. Vediamo allora quali sono le modalità di applicazione di questa tecnologia, modalità oggi riconducibili fondamentalmente a due: - aria intrappolata (ovviamente in modo parziale) in apposite ca- vità sotto carena; - aria che viene fatta scorrere sulla superficie della carena.
La lubrificazione per mezzo di aria intrappolata in cavità: le Air Cavity Ship (ACS) È stata probabilmente la modalità più studiata e sperimentata negli anni: in questa soluzione la carena ha il fondo opportunamente sagomato al fine di generare una cavità in cui una bolla di aria, generata ed alimentata artificialmente con l’immissione forzata dall’esterno, rimane intrappolata . La pressione dell’aria all’interno della cavità è leggermente più elevata della pressione atmosferica così da riempire il volume ricavato sul fondo, senza però generare forze di portanza e permettendo così alle linee di poppa di restare sempre in contatto con l’acqua, a differenza di altri sistemi simili che invece generano un cuscino d’aria che innalza e sostiene la barca, sistemi come i SES (Surface Effect Ship) o gli hovercraft. Le linee esterne di un ACS, specie quelle di prua, restano invece le stesse di una imbarcazione convenzionale, permettendo di mantenere pressoché immutate le caratteristiche di tenuta al mare e di manovrabilità. Le linee del fondo, al contrario, sono diverse, complesse e tormentate, al fine di creare le condizioni affinché si generi e si mantenga la bolla d’aria nella cavità
artificiale. Le linee di poppa devono poi consentire la sfuggita dell’aria in eccesso, senza creare resistenze addizionali dovute alla presenza di barriere di contenimento dell’aria. Inoltre, devono dirigere questa aria in eccesso senza che essa investa l’elica, che ne soffrirebbe perdendo parte della spinta. La geometria del fondo è quindi fondamentale al fine di alloggiare la bolla d’aria e ridurre le componenti di resistenza addizionali. Dopo una lunghissima fase di studio e sperimentazione, le prime imbarcazioni ACS sono state costruite negli anni ’90. Questi mezzi hanno confermato diminuzioni di resistenza intorno al 10, 15% per le navi dislocanti e fino al 40 % per le carene veloci, semiplananti e plananti. Tale guadagno a fronte di un assorbimento di potenza totale della nave, necessario a mantenere aria nella cavità, inferiore al 3, 4%. Inoltre, l’aria presente nella cavità sotto la carena si comporta come un cuscino che smorza i moti verticali, determinando miglioramenti nelle qualità di tenuta al mare e manovrabilità sulle onde. Oggi le carene ACS sono una realtà specie nel piccolo naviglio minore veloce, piccoli traghetti, piccole unità militari  dove sono evidenti i benefici in termini di diminuzione dei consumi in rapporto al carico imbarcato e le miglia percorse, benefici che aumentano al crescere della velocità . Allo stesso tempo ci sono promettenti sperimentazioni anche su unità molto più grandi, come le grosse e lente navi da carico . Anche nel campo delle carene plananti per uso diportistico ci sono interessanti tentativi di applicazione di questa tecnologia: la società norvegese ESI (Effect Ship International), leader mondiale di questa tecnologia messa a pun-
to con la denominazione di Air Supported Vessel (ASV) e titolare di numerosi brevetti in merito, ha progettato un motoryacht di 20 metri a sostentamento ad aria che poi è stato sottoposto ad un intenso programma di test sperimentali, sia con modelli in vasca navale che al vero con un prototipo in scala reale . I risultati hanno confermato riduzioni di resistenza in alcuni casi fino al 50%, valore che dimostra chiaramente che la lubrificazione ad aria può funzionare. Inoltre questi dati, uniti ad un risultato estetico e funzionale dello yacht di tutto rispetto, hanno valso al progetto Air Supported Vessel l’award per l’innovazione per l’anno 2011. Nel 2016, i cantieri Danesi Tuco Marine Group in collaborazione con i norvegesi di ESI, hanno applicato la tecnologia ASV a piccole unità veloci da lavoro, costruendo una prima barca di 17.7 metri con la quale hanno riscontrato, con due IPS 600, velocità di punta di quasi 40 nodi . Ma, soprattutto, sono stati riscontrati consumi estremamente ridotti (3 litri/miglio a 25 nodi e 3.3 a 30 nodi) e notevoli doti di tenuta al mare e morbidezza nell’impatto con l’onda grazie al “cuscino” d’aria intrappolato nella cavità.tutto questo potrà avere interessanti e valide applicazioni per barche fino a 45-50 metri utilizzate come mezzi salvataggio e motovedette, fast workboat, etc.
La lubrificazione per scorrimento d’aria In questa seconda modalità di lubrificazione la carena non pre- senta delle cavità in cui l’aria viene intrappolata, ma scorre sulla superficie. Si tratta di un sistema complessivamente meno efficace del precedente perché l’aria non scorrerà in modo uniforme sulla superficie a causa dello spessore ridotto del volume di aria di contatto e della mancanza di elementi laterali di contenimento dell’aria che tende normalmente a sfuggire lateralmente. Si creeranno così zone in cui l’acqua si sostituisce all’aria e, di conseguenza, la lubrificazione diminuisce. Ma non è detto che tale sistema sia sempre meno efficiente del precedente se consideriamo ciò che si spende nel complesso, sia per iniettare sottocarena grossi volumi d’aria, sia per la complessità di una carena ACS ed i maggiori costi di costruzione. Per far scorrere sotto la carena un sottile velo di aria esistono infatti anche sistemi che non richiedono energia esterna: si parla in questo caso di convogliamento dell’aria, che può essere anche quella dei gas di scarico sommersi, oppure di ventilazione, come nel caso dei redan. Ma andiamo con ordine e partiamo dalla metodologia delle microbolle, un sistema con cui l’aria è iniettata forzatamente sottocarena attraverso dei piccoli fori distribuiti lungo una sezione trasversale nella zona di prora. La velocità contenuta, parliamo di navi da carico che viaggiano a 10, 15 nodi, permette alle bolle di aria di scorrere verso poppa sul fondo piatto e largo della nave che, a sua volta, consente all’aria di distribuirsi abbastanza omogeneamente senza sfuggire via lateralmente . Con questo sitema non si ottengono risparmi considerevoli, siamo sotto al 10%, ma, soprattutto, ci sono una serie di problemi legati all’acqua di mare in cui la carena è immersa, ad esempio per mantenere perfettamente puliti, e quindi efficienti, i piccoli ugelli da cui fuoriesce l’aria o per mantenere sufficientemente pulita la superficie di scorrimento. Un po’ più efficiente, si arriva a risparmi del 15%, e meno problematico è il sistema dei canali d’aria longitudinali sul fondo della carena in cui, sempre da prora, l’aria viene immessa senza necessità di generare bolle troppo piccole. Questi canali sono realizzati, molto semplicemente, installando sul fondo una sorta di binari longitudinali che evitano all’aria contenuta nei canali di fuoriuscire lateralmente nel suo fluire verso poppa . Si tratta di una tecnologia interessante anche perché è facilmente applicabile su navi esistenti, costruendo i binari longitudinali esternamente alla carena. Ma nel diporto nautico la possibile applicazione di queste metodiche è limitata ad alcune tipologie di carene dislocanti che, oltre alla bassa velocità, devono avere una carena semplice e con una consistente zona di fondo piatto. La lubrificazione ad aria può però essere realizzata, come dicevamo prima, senza utilizzare energia esterna, senza compressori che sparano aria sott’acqua. Parliamo di sistemi già largamente diffusi ed utilizzati come i redan oppure gli scarichi del motore convogliati sul fondo dello scafo. Iniziamo dai redan. Detti anche step (scalino in inglese) si tratta di veri e propri gradini sul fondo di una carena planante, cioè una carena veloce che emerge sull’acqua scivolandoci sopra. Proprio la velocità permette all’acqua di distaccarsi in corrispondenza del gradino, laddove la superficie planante sale bruscamente verso l’alto. Si viene così a creare una bolla d’aria a ridosso del gradino stesso che si estende verso poppa di qualche centimetro o di qualche metro, a seconda della velocità, delle dimensioni della barca, della forma del gradino, etc. È evidente che la velocità sostenuta è l’ingredien- te fondamentale per il funzionamento dei redan. Non a caso i redan sono sempre presenti sui motoscafi da competizione o sugli scafi degli idrovolanti, anche se, in questi casi, c’è da precisare che la riduzione della superficie bagnata, e quindi della resistenza d’attrito, è solo uno degli effetti di questo dispositivo che permette, soprattutto, un miglior controllo dell’assetto e, più in generale, una migliore stabilità dinamica . Sfruttare la velocità della barca
per convogliare dall’esterno più aria possibile sotto la carena in corrispondenza dei redan è un’idea che ha trovato, e trova ogni giorno, diverse soluzioni che vanno a modificare la geometria dei redan, della carena, addirittura delle murate al fine di creare un canale che convogli l’aria sottocarena. Si tratta di soluzioni, a volte di dubbia efficacia, che comunque forniscono tutte un beneficio molto parziale, almeno in termini di riduzione della resistenza di attrito, quantificabile in qualche punto percentuale. Infatti mantenendoci alle normali velocità di utilizzo di una barca, velocità di 20, 30 nodi massimo, la bolla di aria generata dai redan necessariamente avrà un’estensione limitata. In tutti i casi sono molto più interessanti, come dicevamo prima, i benefici che si ottengono in termini di migliore stabilità dinamica. Una soluzione diversa, che tenta di superare questi limiti, viene dal gruppo Bénéteau che, da alcuni anni, propone su alcune delle sue barche plananti a motore dai 7 ai 12 metri un sistema che, per mezzo di due prese d’aria poste a murata, convoglia aria sul fondo. Con tale sistema, brevettato e denominato “Air Step”, l’aria va a lubrificare in modo naturale il terzo poppiero del fondo della carena opportunamente conformato per contenere l’aria stessa . Oltre alla riduzione dell’attrito ed il conseguente miglioramento delle performance, Bénéteau dichiara anche un miglioramento delle doti di tenuta al mare della barca (moti più dolci) dovuto al cuscino di aria creato a poppa. Come si ve- de si tratta di una soluzione intermedia tra la lubrificazione per scorrimento e la tecnologia delle Air Cavity Ship di cui abbiamo parlato precedentemente. Sempre rimanendo su sistemi di lubrificazione ad aria che non richiedono ulteriore energia esterna per il loro funzionamento, accenniamo infine agli scarichi del motore convogliati sul fondo, un espediente che spesso dà benefici davvero molto limitati, almeno in termini di riduzione dell’attrito e miglioramento delle performance. Ciò è dovuto soprattutto alla limitatezza dell’area di fondo che può essere interessata dallo scorrimento dell’aria. Spesso infatti i gas di scarico vengono convogliati sul fondo più per ridurre il livello di rumorosità che per reali motivi di miglioramento delle performance, che possono addirittura peggiorare con facilità se i gas di scarico non sono ben distribuiti o vanno ad interessare le eliche innescando problemi di cavitazione. Ecco il motivo per il quale gli scarichi sommersi sono generalmente posizionati molto lateralmente . Anche in quest’ultimo caso è fondamentale avere una velocità sostenuta che permette una diminuzione locale della pressione dell’acqua di entità tale da consentire la fuoriuscita del gas di scarico. Non è quindi un caso se queste barche hanno un doppio sistema di scarico dei gas di combustione, uno immerso, utilizzato a barca ferma o a moto lento, ed uno sommerso quando la barca è in velocità. Per concludere accenniamo ai materiali idrofobici o super idrofobici, l’ultima frontiera della lubrificazione di una superficie di carena. Si tratta di materiali in grado di riprodurre l’effetto delle foglie di loto che, rivestite da cristalli di cera idrofobica di dimensioni nanometriche, rimangono asciutte dopo una giornata di pioggia. Siamo quindi nel campo delle nanotecnologie, quelle tecniche che permettono la manipolazione della materia a livello atomico e molecolare. È grazie a queste tecniche che, ad esempio, possiamo beneficiare delle padelle antiaderenti oppure
L’attrito viscoso Quando un corpo si muove all’interno di un fluido, esso è soggetto ad un particolare tipo di attrito, detto attrito viscoso, dovuto all’interazione del corpo stesso con le molecole di fluido. Nel caso dell’attrito viscoso sono infatti le forze di coesione interne al fluido (forze viscose) a determinare l’attrito che si sviluppa in una piccola fascia di acqua adesa alla superficie di carena detta “strato limite”. È in questo sottile strato d’acqua, uno strato che per una nave è dell’ordine di grandezza di qualche centimetro, che si generano gli sforzi viscosi tra le molecole di fluido, cioè, detto in altre parole, l’attrito. È possibile immaginare lo strato limite composto da tanti sottilissimi strati di acqua che, come dei veli, scorrono uno sull’altro, a partire dallo strato più prossimo alla superficie della carena, adeso alla stessa e che quindi si muove alla sua stessa velocità. Poi, pian piano che ci si allontana dalla superficie, questi strati scorrono con una velocità man mano decrescente fino ad arrivare all’acqua indisturbata a qualche centimetro dalla superficie. L’entità dell’attrito viscoso per una carena è funzione quindi della superficie a contatto con il fluido e della velocità con cui essa si muove, ma anche delle caratteristiche proprie di viscosità del fluido che, a loro volta, sono molto dipendenti dalla temperatura. Senza addentrarci in calcoli di difficile comprensione, basti pensare che per trascinare con moto uniforme una lastra piana della superficie complessiva di 10 metr i quadrati alla velocità di 10 nodi in aria, supponendo che la lastra “galleggi” nel fluido aria, basta esercitare una trazione inferiore al chilogrammo, mentre se la lastra è immersa in acqua sarà necessaria una trazione di quasi 400 chilogrammi, circa 400 volte di più. Tale valore poi crescerà di circa il 10% se, dalla temperatura di riferimento di 20°, ci si abbassa di una decina di gradi passando a 10°. Se invece aumentiamo la velocità, passando da 10 a 20 nodi, la forza necessaria per trainare la nostra lastra in aria passerà a quasi 3 kg in aria e oltre 1400 kg in acqua. È evidente allora che, riuscendo a tenere anche una piccola parte della superficie di carena a contatto con l’aria, si otterrà una sensibile diminuzione di resistenza perché l’attrito si svilupperà prevalentemente nel fluido meno denso e viscoso, cioè l’aria.

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