sabato 24 giugno 2017

Nave VASA


Questa è la storia di uno dei più grandi fallimenti progettuali della Svezia.
Il vascello Vasa nelle intenzioni del Re Gustav II Adolf Vasa era destinato a diventare il simbolo della potenza militare della Svezia che in quel periodo era coinvolta nella guerra dei 30 anni, una delle più complesse guerre di religioni fra cattolici e protestanti. Ci vollero ben due anni per costruirla (dal 1626 al 1628), una nave da guerra con 64 cannoni. Il progetto e la realizzazione non aveva limitazioni circa i costi.
Per il progetto fu chiamato l’olandese  Henrik Hybertsson, un esperto costruttore di navi. Hybertsson non vide mai la fine della sua opera (morì prima della sua ultimazione) e già nel 1626 fu delegato il suo assistente Henrik Hein Jacobsson. Lunga 69 metri e costruita secondo lo stile olandese con scafo poco profondo e una base piatta, la nave era stata “personalizzata” su specifica richiesta del Re che era parte attiva nella progettazione del vascello. Per volere del Re i due ponti che alloggiavano i cannoni erano stati rinforzati per resistere alle cannonate ed era stato aggiunto un grande castello di poppa, aumentandone così problemi di stabilità.
Sostanzialmente l’equilibrio della nave e la disposizione dei carichi erano sbagliate. Nel tentativo di correggere l’equilibrio del vascello fu aumentata la zavorra nella parte bassa della nave, in modo da abbassare la linea di galleggiamento del vascello portandola molto vicina alla linea inferiore dei cannoni.

A quei tempi in Svezia non si realizzavano né progetti cartacei né calcoli matematici per la realizzazione delle navi. Per verificarne la stabilità si  effettuavano delle “prove di stabilità” nel corso della costruzione e quando la costruzione della Vasa era ormai in stato avanzato, l’ammiraglio Fleming eseguì questo test. Il test consisteva nel far correre 30 marinai da un lato all’altro della nave e dopo soli 3 giri il test venne interrotto perché fallito. Nonosotante il fallimento del test, il Re che con questa opera voleva dimostrare la forza bellica svedese,  mandò una lettera premendo sul varo del vascello, cosicché la nave, nonostante i chiari problemi di stabilità, fu dichiarata pronta.
Per il giorno dell’inaugurazione, il peso della nave aumentò ulteriormente a causa di tutte le paratie decorative che snelle intenzioni dovevano essere rimosse alla fine della parata. Vi erano su entrambi i lati delle statue lignee, coloratissime e alcune addirittura ricoperte con foglie d’oro,  raffiguranti gli imperatori romani da Tiberio a Settimio Severo ma anche statue di leoni (simbolo svedese per eccellenza), statue raffiguranti eventi mitologici nordici e una persino statua del re.  Almeno 6 artisti, e relativi aiutanti, presero parte a questa colossale opera di scultura e pittura, ma non vi è alcuna firma su di essa.
La sera del 10 agosto 1628 l’imponente nave da guerra “Vasa” prendeva il largo nel suo viaggio inaugurale nelle acque di Stoccolma sotto glio occhi dei 10.000 abitanti di Stoccolma che stavano sulle sponde del porto. Lo specchio di mare antistante il porto pullulava di piccole imbarcazioni di curiosi che speravano di godersi lo spettacolo del varo della nave da vicino. I marinai avevano avuto il permesso di portare i parenti. La navigazione sarebbe poi proseguita con 300 soldati (che avrebbero costituito i due terzi dell’equipaggio della nave) ma momento del naufragio c’erano solo 150 persone. La missione era raggiungere la Polonia dove si sarebbe combattuta una sanguinosa battaglia. L’idea era che  i parenti sarebbero docuti scendere a Vaxholm. Tuttavia i soldati non misero mai piede sulla nave ….
Il vascello era in pompa magna, completo di tutto quello che serviva a mostrare la grandezza del regno di Svezia e del suo Re Gustav II Adolf della dinastia Vasa.
Dopo aver sparato con un cannone a salve, la Vasa spiegò 4 delle sue 10 vele e prese il largo uscendo dal porto. Tutto sembrava procedere bene.  Il vento che fino ad allora si era mostrato quasi nullo, diede una folata che fece inclinare la nave, ma prontamente il timoniere riuscì a raddrizzarla, purtroppo però non poté fare la stessa cosa con la seconda folata di vento che inclinò il Vasa talmente tanto che l’acqua entrò dai portelli dei cannoni che il capitano Söfring Hansson aveva fatto lasciare aperti per magnificare il vascello, cosicché la nave sprofondò in brevissimo tempo. La nave era affondata dopo solo 1300 metri (circa 15 minuti di navigazione) quando ancora si trovava nel porto di Stoccolma e si adagiò a circa 32 metri di profondità.

Gran parte dei marinai si lanciarono dal vascello in mare. Dato il fondale basso gli alberi principali del vascello spuntavano e molti si salvarono aggrappandosi a questi. Le piccole imbarcazioni venute per assisstere all’inagurazione del vascello si trovarono a dover soccorrere i naufraghi, altri si aggrapparono ad oggetti galleggianti caduti dalla nave. Inoltre si trovavano ad appena 120 metri dalla costa e molti si salvarono a nuoto.
La maggior parte dell’equipaggio si salvò ma una trentina di marinai morirono. La maggior parte di questi si trovavano all’interno del vascello quando iniziò ad affondare e non riuscirono ad uscirne. Dopo il recupero del relitto sono stati recuperati gli scheletri di circa 15 persone.
Non esisteva una lista con i nomi dei marinai ma di certo si sa che il capitano della nave Söfring Hansson soppravvisse al naufragio. Pare che abbia lasciato l’imbarcazione tra gli ultimi (come dettano le regole nautiche) ma che si sia impigliato in una corda degli alberi maestri e che sia stato trascinato verso il fondo. Alla fine riuscì a sbrogliarsi ed a mettersi in salvo. Anche il suo vice, l’ammiraglio Erik Jonsson si salvò per un pelo. Al momento del naufragio si trovava nel ponte inferiore per assicurarsi che i cannoni fossero saldamente legati dopo che la nave si era inclinata la prima volta. Jönsson fu colpito da uno sportello di legno in testa quando cercò di risalire. Venne salvato ma rimase per parecchio tempo appeso ad un filo tra la vita e la morte.
Il capitano Hans Jonsson invece morì. Si trattava  di uno dei comandanti più esperti salito sulla nave forse per dare consigli oppure semplicemente come ospite.
Immediatamente il re Gustav II Adolf fece aprire un’inchiesta per capire di chi fosse la responsabilità del naufragio, vennero interrogati il capitano della nave, molti dei marinai e i costruttori, e tutti dissero esattamente la stessa cosa, ossia, che la nave era troppo instabile e che i portelli dei cannoni sarebbero dovuti rimanere chiusi. Per quel che riguarda la costruzione della nave, invece, fu detto soltanto che il vascello fu costruito secondo le indicazioni del Re.
Nessuno fu accusato per il naufragio e di conseguenza non ci fu nessun colpevole.
Nel 1956, dopo più di 300 anni, un archeologo esperto in relitti Carl Gustav Anders Franzén insieme al subacqueo Per Edvin Fälting  riuscirono a recuperare il relitto che, grazie alla particolarmente bassa salinità delle acque di Stoccolma, si trovava in condizioni eccellenti.
Con il recupero della nave avvenuto nel 1961, iniziarono anche i lavori di restauro che nel 1990 portarono il relitto nella condizione di essere esposto nell’omonimo museo che gli fu costruito intorno, situato nella zona di Djurgården nella città di Stoccolma.


Notizie fonte web di dominio pubblico.

venerdì 23 giugno 2017

                       LA CURVA DI EVOLUZIONE
            
Serve a determinare il comportamento della nave sotto l’azione costante del timone. Si effettua mantenendo il timone inclinato di un certo angolo  .  La manovra ha lo scopo di determinare i tempi e gli spazi necessari alla nave per compiere un’accostata durante il suo regolare esercizio.  La manovra si effettua portando la nave su di una rotta stabilizzata a velocità costante ( moto rettilineo uniforme ) ad un certo punto si inclina il timone di un angolo prefissato  e, con opportuni strumenti, si rileva il moto della nave successivamente all’inclinazione del timone.   
 I dati così ottenuti vengono rappresentati in un grafico – simile a quello  mostrato in figura –  da cui si estrapolano indici geometrici e di tempo.  Gli indicatori geometrici sono: 
- A  detto avanzo per 90°  - T detto trasferimento per 90° - D detto diametro di girazione - DT detto diametro tattico
  
              
La nave esegue la manovra di evoluzione in  tre fasi: 
  PRIMA FASE o fase di MANOVRA 
Dura il tempo necessario a portare il timone alla  banda  dell’angolo prefissato. Durante  questa  fase, a causa della sua grande inerzia, la nave non riesce ad accostare, pertanto si ha una leggera deriva dalla parte opposta del timone mentre la nave, a causa delle diverse forze che agiscono sulla carena, si inclina dallo stesso lato in cui è inclinato il timone effettuando il cosiddetto inchino di saluto.  

SECONDA FASE o fase di EVOLUZIONE 
Inizia quando il momento evolutivo vince l’inerzia della nave e questa comincia ad accostare seguendo una traiettoria il cui raggio di curvatura diminuisce gradualmente con l’aumento della velocità angolare. Da notare che in questa fase la nave avanza accostando e mantenendo la prua all’interno della traiettoria descritta dal centro di gravità G ; ciò accade perché l’asimmetrica distribuzione delle masse del volume della carena provocano la rotazione intorno ad un punto C – posto a proravia del baricentro G – detto appunto centro di girazione C. Usualmente il punto di girazione C si trova a circa un quarto della lunghezza della nave da prua. Durante la seconda fase la nave sbanda decisamente dal lato opposto a quello in cui è inclinato il timone di un angolo che va dai 6° ai 9°; contemporaneamente si rileva una diminuzione della velocità della nave pari a circa il 10-15 % del valore iniziale.  
TERZA FASE o di GIRAZIONE 
 In questa fase la  nave si muove di moto circolare descrivendo la circonferenza il cui diametro coincide con il diametro di girazione D la cui lunghezza è mediamente pari a 3 - 5 volte la lunghezza dello scafo.   La velocità lineare in questo caso risulta mediamente diminuita del 30-  40 %.        
 La manovra di Dieudonne’
Questa manovra è utile per determinare il rango di instabilità al timone della nave ed offre il vantaggio di non richiedere il tracciamento del suo percorso.  La manovra di Dieudonné viene eseguita contestualmente alla curva di evoluzione.   Mentre la nave procede su di una rotta rettilinea stabilizzata si mette il timone alla banda di 35° a dritta. Quando la nave avrà raggiunto la condizione di moto circolare uniforme  si misura la sua velocità angolare , successivamente si diminuisce l’angolo di barra di 5° alla volta avendo cura di misurare la nuova velocità angolare  ogni qualvolta il moto della nave  risulta stabilizzato.    Questa operazione va continuata fino a quando l’angolo di barra raggiunge il valore  di  35° a sinistra. A questo punto l’operazione si ripete fino a riportare il timone ad un angolo di barra = 35° a dritta.   I dati ottenuti durante la prova vengono quindi raccolti in forma grafica. Nelle figure è riportato un esempio di nave stabile al timone ( figura sopra) – ovvero di una nave che reagisce alla variazione dell’angolo di barra  e che quindi con angolo di timone nullo (  = 0° ) avrà anche velocità angolare nulla ( = 0 ) –  e di una nave instabile al timone ( figura in basso) –
                             



ovvero una nave che non reagisce prontamente alle variazioni dell’angolo di barra  .  Il rango di instabilità è rappresentato dall’area racchiusa nel parallelogramma e mostra come la nave possa avere un comportamento diverso alla variazione dell’angolo di barra  asseconda del senso di rotazione che possiede al momento in cui la variazione si registra.  
   In particolare per una nave instabile al timone si avrà che la velocità angolare non risulterà nulla  anche con il timone in mezzo  ma, piuttosto, il suo comportamento sarà influenzato dalle manovre precedentemente eseguite. 
 La manovra pull-out. 
 La manovra è usata per determinare la stabilità direzionale di una nave. Il timone è inclinato di un angolo predeterminato e, quando la nave si trova in condizioni di moto circolare stabilizzato, si riporta il timone in mezzo e si rileva la variazione della velocità angolare.   Se la nave ha stabilità direzionale la sua velocità angolare si riduce a zero e la nave acquista in breve tempo un moto rettilineo. Se invece la nave è instabile rimane un minimo di velocità angolare che continuerà a far accostare la nave per un certo intervallo di tempo dopo aver riportato il timone in mezzo.  


 La manovra pull-out può essere opportunamente rappresentata graficamente al termine di ciascuna prova effettuata per i diversi angoli di timone. I grafici solitamente evidenziano per una nave stabile una diminuzione progressiva della velocità angolare ( transitorio ) prima che il moto ridiventi rettilineo.   Questa situazione è rappresentata in figura dalla curva a tratto pieno. Nel caso di una nave che non possiede stabilità direzionale si osserva un allungamento dei tempi per la diminuzione della velocità angolare e un lento ritorno al moto rettilineo.   Tale situazione è rappresentata nel grafico dalla curva tratteggiata.    
 La manovra a Z o a zig – zag .  
 La manovra a zeta ha lo scopo di valutare il comportamento della nave quando il timone interviene a correggere una manovra già in atto.  Si esegue facendo acquistare alla nave un moto stabilizzato su di una rotta rettilinea e inclinando quindi il timone a sinistra di 20°. Si mantiene questo angolo di barra fino a quando la nave avrà accostato a sinistra di  20°, quindi si porta il timone a 20° a dritta e si mantiene in questa posizione fino a quando la nave avrà accostato di 20° a dritta rispetto al valore della rotta iniziale.  A questo punto si riporta nuovamente il timone a 20° a sinistra e si ripete il ciclo facendo successivamente accostare la nave nuovamente a dritta come prima descritto. 



Dopo l’esecuzione della manovra si costruisce un diagramma come quello mostrato in figura nel quale sono mostrati: 
- la variazione dell’angolo di timone  al variare del tempo; - la variabilità delle accostate con il tempo ; - gli spostamenti laterali Y. 
 Sull’asse dei tempi il tratto OA rappresenta il tempo necessario a portare il timone 20° a sinistra. Il tratto OB rappresenta invece il tempo necessario alla nave per accostare di 20° a sinistra. Si noti come nell’istante C in cui il timone è in mezzo ( = 0° ) la nave per inerzia continua ad accostare a sinistra. Dal grafico può inoltre estrapolarsi una serie di  informazioni: 
- il tempo necessario per accostare di 20° può rappresentare un indice della rapidità di risposta al timone; - il tempo necessario ad eseguire l’intera manovra; - lo spostamento laterale massimo Ymax ; - l’angolo ed il tempo di overshoot, ovvero una misurazione di quanto la nave non risponda al timone quando si corregge una manovra già impostata. 
 Tali parametri indicano sufficientemente l’abilità evolutiva della nave e la rapidità di una contromanovra, essi sono particolarmente importanti per la progettazione della nave.   La necessità di conoscere i parametri dell’overshoot è lo scopo principale per il quale si esegue la manovra a zeta. Solitamente per velocità della nave comprese tra 8 e i 16 nodi si osservano angoli di overshoot di 5°,5 - 8°,5. I tempi sono direttamente dipendenti dalla velocità della nave all’inizio della manovra. 
  Le manovre di emergenza. 
 Le manovre di emergenza sono dettate dall’esigenza di evitare e/o fronteggiare una situazione di pericolo. Come i risultati delle manovre standard, sono contenute e descritte nel Libretto di manovra  che viene fornito dal cantiere navale che ha costruito la nave. Generalmente si annoverano due tipi di manovra d’emergenza: 
 - fermare la nave; - la manovra di Williamnson ( o dell’uomo in mare ).  Cominciamo con il descrivere i diversi metodi utilizzati per arrestare la nave:  - arresto forzato (crash-stop) - arresto libero - arresto IMO - arresto con serpeggiamento. 
La manovra di arresto forzato consiste nel fermare le macchine e, nei limiti del possibile, metterle subito a marcia  indietro con l’evidente scopo di realizzare un’inversione di spinta.   La prova di arresto forzato si effettua con il timone in mezzo e fa parte delle prove in mare cui viene sottoposta la nave dopo il varo e prima della consegna per la sua entrata in servizio. I parametri che vanno ad influenzare il comportamento della nave sono diversi; si parte dalla velocità che la nave ha ad inizio manovra, dalle condizioni meteo marine ( direzione e velocità del vento, moto ondoso, profondità del mare, condizioni di carico e di assetto della nave), dal tipo di elica di cui la nave è dotata.L’arresto libero si ottiene fermando le macchine e mantenendo il timone in mezzo attendendo che la nave esaurisca il proprio moto per abbrivio. La nave percorre una traiettoria chiamata curva di decelerazione e si arresta percorrendo uno spazio pari a circa il doppio rispetto a quello necessario nell’arresto forzato.  Nell’arresto per serpeggiamento invece si fermano le macchine e si muove alternativamente il timone a dritta ed a sinistra allo scopo di disperdere l’energia cinetica della nave. Questa manovra può risultare utile quando non si ha sufficiente spazio per accostare.  L’ arresto  IMO  consiste  nel  fermare le  macchine  e, 

contemporaneamente, mettere il timone alla banda. L’abbrivio sarà smorzato dalla resistenza offerta dal timone e dal moto di deriva  della nave, mentre l’accostata riduce considerevolmente l’avanzo. Si noti come al diminuire della velocità iniziale gli spazi di arresto si dilatino leggermente a causa della diminuzione dell’efficacia dell’azione del timone  con le basse velocità. Questa manovra è indicata nel caso si debba evitare un pericolo improvviso e si abbia spazio sufficiente per accostare.   
  La manovra di Williamnson (uomo in mare).  
 La manovra di Williamnson si effettua per recuperare un uomo caduto in mare. La manovra si effettua facendo accostare la nave dallo stesso lato dal quale è caduto il naufrago allo scopo di allontanare le eliche dall’uomo in mare; si porta il timone tutto alla banda e, quando la nave ha accostato di circa 60° si scontra il timone portandolo tutto alla banda dal lato opposto a quello iniziale. La nave per inerzia continuerà ad accostare fino a circa 80° dalla rotta iniziale, quindi inizierà ad evoluire portandosi su di una rotta opposta a quella iniziale.Nella figura e’ ben descritto quanto sopra                                                                                  Tuttavia,  bisogna ricordare che le condizioni meteo marine influiscono notevolmente sull’efficacia e sulla durata della manovra.





Un aspetto non secondario è che per procedere poi al recupero del naufrago l’imbarcazione dovrà avvicinarsi di sopravvento in maniera da procurare un riparo alla persona in acqua. Nelle figure e’ mostrato quanto ora detto.                                                                                                                           






fonte web di pubblico dominio.

lunedì 19 giugno 2017

IL CLIPPER USS "NIGHTINGALE"

      LA POLENA DEL CLIPPER  "NIGHTINGALE”
                                                                                                                       
                        

Nell'Ottocento il soprano Jenny Lind, catturo’  l'attenzione del mondo con la sua voce cristallina.L’imprenditore americano PT Barnum  guru delle  pubbliche relazioni, sentito il suo successo europeo, porto’ Jenny in America per un tour che la catapulto’nella sfera delle  megastar. Tutti quelli che la sentirono  cantare  osservarono che sembrava essere illuminata da un fuoco santo.La sua bellezza, la sua giovinezza e la gentilezza 'ispirarono i grandi artisti del tempo. Le navi  clipper di quell’epoca erano spesso adornate da figure in legno splendidamente intagliate(polene) come  portafortuna . Il nome di Jenny Lind   fu prestato a diverse navi  del periodo, la piu’ nota fu il clipper “ USS Nightingale”, costruita da Hanscoms & Eliot, Maine nel 1851, e varata  il 16 giugno dello stesso anno. I proprietari della nave avevano previsto di chiamarla “Sarah Cowles,” ma quando sentirono Jenny cantare cambiarono il nome secondo il soprannome di Jenny,” The Nightingale” swedish (l’usignolo svedese). Avevano incaricato un intagliatore  di spicco a Boston, probabilmente John Mason, per scolpire una polena con le sembianze   di Jenny.Il  Clipper Nightingale fu una delle navi piu’ lussuose di quel tempo,progettata e costruita per ospitare una classe molto ricca di passeggeri.  Il Nightingale subì dei  danni nel 1870 e fu  messo in disarmo in un  porto della  Norvegia.. La polena fu  scoperta nel 1994 in un fienile in Norvegia dove fu tenuta per  oltre 100 anni, dopo essere stata usata come spaventapasseri in un azienda agricola. Parte del ponte con sovrastruttura  del Nightingale esiste ancora oggi  in un porto della  Norvegia. 

domenica 18 giugno 2017

LA CHIODATURA E LA SALDURA DEGLI SCAFI

LA CHIODATURA DEGLI SCAFI


In tempi moderni i collegamenti tra lamiere e lamiere sono effettuati mediante saldatura che rispetto alla chiodatura evita sovrapposizioni e l'uso di pezze e contro-pezze, inoltre fa risparmiare fino al 20% di peso. La chiodatura tuttavia presenta anche qualche vantaggio. Fino a circa 20 anni fa i vari registri continuavano a consigliarla in alcuni tipi di collegamento, come quello tra il ponte di resistenza ed i fianchi (cinta - trincarino) e quello tra l'orlo inferiore dei ginocchi ed il fondo. In sostanza si voleva ottenere una maggiore elasticità (la chiodatura consente, infatti,un certo respiro alla struttura).Abbiamo detto che la nave è assimilabile ad una trave, quindi si avrà un andamento bitriangolare delle sollecitazioni. Usando la chiodatura la tensione nei punti di massima sollecitazione diminuisce: si ha così la trasmigrazione delle tensioni dalle parti estreme, dove l'elasticità risulta aumentata,cioè il modulo di elasticità è più basso, verso l'asse neutro, ottenendo con ciò un maggior equilibrio. A tal proposito si ipotizzava anche l'impiego in talune zone di acciai a modulo di resistenza molto basso.Il difetto maggiore della chiodatura, al di là del peso, rimane comunque quello della difficoltà di ottenere una struttura stagna: le infiltrazioni risultano,infatti, talvolta ineliminabili (nonostante il calafataggio, ottenuto ribadendo e deformando le estremità sovrapposte delle lamiere), e richiedono il loro continuo esaurimento. E' inopportuno saldare su una chiodatura (che potrebbe essere danneggiata dal tormento termico): data l'attuale scarsità di chiodatori, nei lavori su vecchie navi, la chiodatura viene talvolta sostituita da una imbullonatura.Il chiodo è costituito da un'asta d'acciaio con una testa ad un'estremità, la lunghezza della parte sporgente è pari a 1,5 volte il diametro. La testa, ottenuta per schiacciamento della suddetta parte sporgente (cioè ribadita) dev'essere rivolta verso il mare. Esistono anche altri tipi di chiodi (di forma diversa), ma risultano scarsamente utilizzati. La foratura (preliminare) viene realizzata utilizzando apposite macchine dotate di punzoni; l'operazione richiede anche una segnatura preliminare delle lamiere. Il foro, anche a causa del trascinamento di trucioli da parte del punzone, risulta sempre di forma troncoconica, perciò le lamiere dovranno essere sistemate in modo da essere tenute anche in caso di "salto" della testa del chiodo. Il chiodo viene immesso nel foro a circa 1200° C (color bianco), mentre la ribaditura viene fatta a 600-650 °C (color rosso - ciliegia scuro): il rispetto di questi valori deve essere rigoroso, in modo che il chiodo possa contrarsi nel modo desiderato (realizzando così la miglior tenuta possibile). E' necessaria anche una imbastitura preliminare, cioè un controllo(fatto mediante bulloni) che tutti i fori siano passanti.  Un problema importante è quello del funzionamento del chiodo. Un chiodo non lavora come si potrebbe pensare a taglio (fatto che porterebbe ad una rapida rottura e che pertanto si deve evitare), bensì a trazione. Essendo il chiodo in trazione, comprime le lamiere che si uniscono.  L'elasticità della chiodatura deriva dalla compenetrazione delle asperità delle lamiere: si ha così uno scorrimento graduale che va ad incrementare l'elasticità propria delle lamiere stesse; a parità di deformazione si avrà così una tensione minore (ed il materiale risulta meno tormentato che non nella saldatura). Il chiodo, immesso nel foro a 1200 °C e ribadito a 600 °C, successivamente si contrae: stringendosi comprime le due lamiere. Avremo così una zona di compressione attorno al chiodo. In seguito alla compressione fra le superfici delle due lamiere si origina un attrito che si oppone allo scorrimento delle stesse. L'effettivo andamento della pressione è di difficile valutazione, si fa quindi riferimento alla pressione media



Quando la chiodatura è ben fatta il taglio fittizio vale circa 1000-1200 kg/cm2. L'operazione di calafataggio deve essere fatta in una zona in cui la compressione fra le due lamiere è ancora abbastanza consistente: essa consiste in una ribattitura del bordo delle lamiere con uno scalpello, in modo da conferire la tenuta desiderata. Se il collegamento necessita di più di una fila di chiodi, anche se i chiodi sono sfalsati; i fori indeboliscono la struttura: ci chiediamo allora dove avverrà la rottura se sottoponiamo a trazione le due lamiere. La rottura avverrà sulla fila esterna di chiodi in quanto all'interno la lamiera è "protetta" dalla fila esterna stessa che scarica parte dello sforzo totale di trazione sull'altra lamiera. Si può allora dire che questa soluzione, presentando un punto in cui la rottura è assai probabile, non è ben equilibrata. Per armonizzare la costruzione si mettono allora meno chiodi sulle file esterne (che non vogliamo indebolire troppo) e più all'interno in modo da ottenere un giunto ad uniforme resistenza.  E' comunque inutile fare tante file di chiodi in quanto, quando ha inizio la deformazione delle lamiere, questa va ad interessare le file più esterne (quelle interne risultano scaricate grazie alla resistenza delle prime file). In generale è opportuno evitare che, in caso di cedimenti, si rompa la lamiera prima del chiodo o viceversa (si vuole cioè che chiodi e lamiere lavorino nelle stesse condizioni, senza che uno dei due elementi ceda in maniera preferenziale).
LA SALDATURA 
Inizialmente si usavano metodi alla fiamma (autogeni con cannello). Lo strumento che ha rivoluzionato il modo di saldare gli scafi è però quello della saldatura elettrica basata sulla proprietà dell'arco voltaico di arrivare fino a 3000 °C. Il principale vantaggio è che il tormento termico subito dal materiale è limitato ad una zona ristretta, in ogni caso non è del tutto eliminabile, perciò il raffreddamento non dovrà essere troppo brusco, onde evitare tempere (a tale scopo si utilizzano delle bacchette rivestite per proteggere il raffreddamento del cordone di saldatura). Questa procedura è molto rapida e può essere eseguita anche a macchina (in modo automatico). Nella saldatura in manuale l'elettrodo è costituito da una bacchetta di 40-50 mm di un materiale simile a quello delle lamiere da saldare, con in più alcuni elementi che lo rendono meno sensibile al tormento termico. Le bacchette nude lasciano il materiale di saldatura scoperto, il che rende il bombardamento ionico (cioè il passaggio di materiale) meno attivo e l'ossidazione alle alte temperature maggiore: per questo motivo si usano bacchette rivestite di speciali paste protettive a base di cellulosa (C6H10O5) e di sali di sodio-potassio. Il rivestimento fonde assieme all'elettrodo: la cellulosa a 3000 °C sviluppa idrogeno atomico che capta l'ossigeno dell'aria evitando così l'ossidazione (e formando acqua che si raccoglie nella scoria); sodio e potassio rendono invece più attiva la trasmissione di materiale. In alcuni casi nel rivestimento possono esserci anche componenti che entrano in lega. Nel fare più passate è necessario togliere via via la scoria. Nel processo automatico l'elettrodo ha la forma di una bobina: si parla anche di arco sommerso nel quale il rivestimento è costituito da un fondente granulare (Flux) che affluisce mediante un tubo; l'arco è detto sommerso in quanto si produce coperto dal fondente (quindi anche il cordone resta coperto dal fondente solidificato). L'arco può essere ottenuto sia in c.c. che in c.a. Generalmente la saldatura in c.c. da un cordone più regolare: peraltro nella saldatura in tandem in automatico può verificarsi un'influenza reciproca (soffio) fra i due archi, con conseguenti distorsioni degli stessi. In manuale si usano convertitori rotanti ad eccitazione mista differenziale (dinamo autoregolatrici), che diminuiscono la tensione ai morsetti all'aumentare della corrente, in quanto l'operatore in genere non riesce a tenere ben fermo l'elettrodo. Si arriva fino a 150-600 A mentre in automatico si arriva a 4000 A. Il cordone è costituito da materiale fuso che si adagia fra i due lembi da saldare. La saldatura presenta
sempre un sovrametallo che ha anche la funzione di compensare qualche eventuale difetto (ed il tormento termico) con una maggiore sezione resistente; esso non dovrebbe però essere eccessivo, altrimenti le linee di forza al suo interno verrebbero deviate, e si avrebbero quindi punti di concentrazione delle tensioni. La posizione ottimale dell'elettrodo (in manuale) è a 45°. A seconda della posizione dei pezzi da saldare (sempre in manuale) si avranno più tipi di saldature: • Orizzontale • verticale • sopra testa la prima è più agevole. Qualche problema si ha già per la seconda, che deve essere realizzata dal basso verso l'alto (onde evitare colature). L'ultima, la più difficile, richiede abilità ed elettrodi particolari; in genere si cerca di minimizzarne l'impiego, anche perché spesso i risultati non sono buoni.  Nella preparazione delle lamiere, le lamiere sottili (fino a 5 mm) non richiedono particolari preparazioni. Quando si usano le lamiere più grosse è necessario prepararle, direttamente con il cannello da taglio o con una preparazione alla macchina. Si può ad esempio avere una preparazione a V semplice; con questo sistema le linee di forza non subiscono eccessive distorsioni. I lembi inferiori non devono essere troppo distanti, altrimenti si deve usare una contropressa (fatto possibilmente da evitare in quanto genera un cordone troppo grosso). Un inconveniente (nel caso di grossi spessori) è quello che, nella parte alta della V, le lamiere, a causa dell'eccessiva distanza tra i margini superiori dei due lembi, possono tendere a piegarsi; inoltre si è costretti a fare più passate, il che causa un cordone troppo largo, si ricorre allora alla preparazione ad X che è più equilibrata ed adatta ai grossi spessori. Si potrebbe però essere costretti a saldare sopratesta la parte inferiore: in tal caso si addotta la preparazione ad X dissimmetrico, in modo da minimizzare (possibilmente ad un'unica passata) il numero di saldature sopratesta. In caso di spessori molto elevati (fino a 40 mm) è necessaria una particolare (e costosa) preparazione detta a coppa di champagne, eseguita con una piallatrice od una sgorbiatrice. Un problema frequente è quello di unire lamiere di spessore diverso. In questi casi è necessario prevedere un raccordo (è sempre bene evitare brusche discontinuità). Un altro collegamento frequente è quello a T: anche in questo caso si dovrà effettuare un'apposita preparazione. Analoghe considerazioni valgono per i giunti a croce.  In generale il disassamento (eventuale) accettabile non deve superare la metà dello spessore (se uguale per tutte le lamiere) allo scopo di addolcire la deviazione delle linee di forza. La saldatura ad angolo non necessita di preparazione.  Quando non c'è esigenza di stagno si possono eseguire saldature a tratti alterni o contrapposti. E' bene evitare incroci di saldatura, in quanto la prima potrebbe risultare danneggiata a causa del tormento termico: nel caso è opportuno, dopo la seconda passata, ricuocere il materiale.Per saldare più lamiere occorre eseguire una ben precisa procedura, in modo che le nuove saldature non danneggino quelle già eseguite. 
SISTEMI DI SALDATURA 
Esistono diversi sistemi di saldatura automatica: in comune hanno la presenza di un supporto (detto Weld Backing), su cui si stende il cordone, che può essere fatto in vari modi, o in materiali che disperdono il calore (rame) o in materiali refrattari. Il supporto viene tenuto pressato sul giunto pneumaticamente (mediante manichette ad aria) o magneticamente. Le diverse tecniche hanno delle sigle che stanno ad indicare le modalità con cui vengono eseguite: Procedimento FCB (Flux Copper Backing - con supporto di rame), usato a Monfalcone. E' una saldatura di testa, nella parte bassa c'è una manichetta che, gonfiandosi, spinge contro il giunto una lama di rame, sulla quale si spande il fluente granulare  Procedimento BB (Brick Backing): è un sistema manuale (senza flux) in cui si usa un supporto in refrattario sostenuto da magneti (è molto usato a bordo). La saldatura elettrica presenta grandi vantaggi in termini di economia di peso (fino al 20% del peso scafo).



Fonte: dispensa pubblicata  dal  web  di pubblico dominio. 


La Societa' di navigazione "Tirrenia (Flotte Riunite Florio-Citra) 1932/1936

I traffici ordinari rispetto all’anno precedente erano quasi d’appertutto in flessione con pesanti cadute  sulla linea n.2 Palermo-Tunisi e sulla Palermo-Tripoli o mostravano insignificanti segni di miglioramento,come qualche linea coloniale,con la sola eccezione della Massua-Suez,dove si realizzava un incremento del 26,5%.Anche nel 1935 la Compagnia distribui’ al capitale azionario utili del 6%,grazie a un utile complessivo d’esercizio di 5,8 milioni malgrado intanto la sovvenzione dello Stato,”in seguito alla revisione triennale del prezzo del combustibile,fosse stata ridotta di quasi tre milioni e mezzo.Il 1935 fu l’anno in cui la Famiglia Florio,che un decennio prima aveva fondato la compagnia di navigazione da cui   ebbe origine la Tirrenia,veniva definitivamente estromessa dalla Societa’.Anche la Tirrenia si avviava verso la liquidazione,non gia’ per un dissesto finanziario bensi’ per una precisa volonta’ politica del Governo Italiano.Il 1936 era stato soddisfacente per la Compagnia,che se aveva avuto un forte aumento di spese,aveva ottenuto un maggiore introito per l’aumento dei traffici lungo le rotte africane,che miglioravano la situazione finanziaria dell’azienda.Ma la messa in liquidazione della Compagnia era gia’ decisa da tempo.Negli ultimi anni,lo Stato si era fortemente impegnato nel campo marittimo con pesanti oneri,intervendo-attraverso l’IRI-nel salvataggio della Banca Commerciale e del Credito Italiano,entrambe con forti interessi in compagnie di navigazione,e nella liquidazione dell’Istituto Italiano di Credito Marittimo,che aveva il controllo della Navigazione Generale Italiana e della Italia Flotte Riunite.E cominciava a farsi strada la necessita’ di una completa riorganizzazione dei servizi e di una loro statizzazione attraverso la creazione di nuove societa’ di navigazione controllate da una finanziaria dell’IRI,che dovevano sostituire le vecchie compagnie,alcune delle quali si trovavano in grosse difficolta’: l’Italia subiva pesantemente le conseguenze negative della crisi del turismo internazionale,la Cosulich non riusciva a fare gli ammortamenti normali,il Lloyd Triestino era sull’orlo del dissesto,avendo gia’ perduto i tre quarti del suo capitale azionario.Le condizioni della Tirrenia venivano invece  considerate normali,ma e’ indubbio che,per quanto disponibile potesse essere ad assecondare le esigenze del governo italiano,essa non avesse la struttura organizzativa per assicurare tutti i servizi che l’impero appena costituito in Etiopia richiedeva,tra cui il trasferimento oltremare di 5 milioni di italiani.Nel Maggio 36 si decise percio’ di dare,a decorrere dal successivo 1 gennaio  1937 un nuovo assetto all’attivita’ armatoriale,che con RDL 7 dicembre 1936 veniva concentrata in un minor numero di societa’ e suddivisa per settori di traffico,coordinando le linee in modo da evitare inutili e costosi doppioni allo scopo di raggiungere la migliore armonizzazione ed il maggior rendimento con la massima economia di spesa.Diversamente che nel 1932,quando per meglio riorganizzare i servizi si punto’ tutto sulla fusione di alcune societa’,nel 1936 si ritenne opportuno puntare su nuove societa’di navigazione costituite interamente con capitali pubblici,in sostituzione delle antiche societa’ a prevalente capitale pubblico,fortemente indebitate.Con tale sistema,a pagare i debiti delle vecchie compagnie non era soltanto lo Stato,attraverso l’IRI titolare di parecchi pacchetti di maggioranza,ma anche i privati titolari di una parte delle azioni,mentre le nuove compagnie potevano continuarne l’ attivita’senza il fardello del pesante indebitamento.Le compagnie Libera Triestina,Societa’ Veneziana di Navigazione a vapore,Cosulich,Adria e Sarda venivano pertanto poste in liquidazione e cosi’ pure la Tirrenia,il Lloyd Triestino,l’Italia e l’Adriatica,sostituite pero’ queste ultime da una nuova Tirrenia,un nuovo Lloyd Triestino,una nuova Italia e una nuova Adriatica,promosse appositamente dall’IRI.La nuova Tirrenia,con sede centrale a Napoli e succursali  a Genova,Palermo e Fiume,acquisiva anche le linee gestite dalla Sarda,il periplo italico e i servizi nel Mediterraneo occidentale e per il Nord Europa.Al nuovo Lloyd Triestino,con sede a Trieste e succursali a Genova,Napoli e Venezia,passavano i servizi oltre Suez e Gibilterra,per il Medio ed Estremo Oriente,l’Africa Orientale e l’Australia.La nuova Italia,con sede a Genova  e succursali a Trieste,Napoli e Palermo,otteneva le 11 linee per le Americhe,mentre la nuova Adriatica,con sede a Venezia e succursali a Trieste,Genova,Fiume,Bari e Napoli,oltre ad alcune linee locali,otteneva i servizi per l’Egitto,il Levante e il Mar Nero.Dopo dieci giorni l’emanazione del decreto di riorganizzazione dei servizi marittimi,a Roma si costituivano contemporaneamente,presso due diversi notai,La Societa’ Finanziaria Marittima(Finmare),filiale autonoma dell’IRI,e la nuova Tirrenia.Scopo della Finmare era quello di assumere partecipazioni azionarie nelle societa’ Italia,Lloyd Triestino,Tirrenia e Adriatica,in fase di costituzione.Lo stesso giorno,nello studio del notaio Paolo Castellini in Roma,il piu’ ricercato dalle compagnie di navigazione,si costituiva la “Tirrenia,Societa’ anonima di navigazione” con capitale di 15 milioni(aumentabile a 150 milioni),ripartito in 30.000 azioni,di cui 29.960 sottoscritte dall’IRI,20 dal Dr.Ferdinando Pedone,nato a Palermo,e 20 del rag.Fedele Romano,nato a Lercara Friddi.Del suo C d’A facevano parte anche Ignazio Florio e l’avv.Marchesano,ma come per la Finmare,anche per la nuova Tirrenia la proprieta’ apparteneva interamente all’IRI,perche’ gli altri soci con venti azioni se non erano funzionari dello stesso istituto erano certamente persone ad esso assai vicine.Lo stesso IRI in precedenza si era preoccupato di concordare con gli amministratori delegati della vecchia Tirrenia in 287 milioni il valore delle 42 navi della Compagnia,in attesa di designare gli enti ai quali dovevano essere cedute in vendita.Ormai tutto era pronto per l’atto finale .Il 30 dicembre 1936,l’assemblea dei soci della vecchia Tirrenia stabiliva il cambiamento della denominazione della societa’”Sicula-Napoletana di Navigazione”, il trasferimento della flotta alla nuova Tirrenia e al Lloyd Triestino,che si accollavano anche il debito verso il Consorzio delle Opere Pubbliche,e la messa in liquidazione della Compagnia,che si protrasse per parecchi anni.Ma almeno nel caso della vecchia Tirrenia non sembra che i pochi soci ci rimettessero,se nel febbraio successivo si prevedeva che le sue azioni potessero liquidarsi al 130% del valore nominale.Linch,titolare di 4000 azioni ex Tirrenia,ottenne anche la direzione del Lloyd Triestino in liquidazione.A rimetterci certamente fu l’IRI,che per ottenere definitivamente le azioni Tirrenia dei Florio aveva dovuto accollarsi i pesanti debiti della Finanziaria Florio,con una perdita secca di 40 milioni di lire.